Europa, Sviluppo
La grande idea di Draghi: sostituire il gas russo con il carbone (comprato dalla Russia)
L’Italia ha fermato la chiusura di due delle sue sette centrali a carbone per rilanciare la produzione di energia e affrontare la potenziale stretta sul gas russo. E lo stesso pianificano di fare altri Paesi Ue, come la Germania è intenzionata a seguire la stessa strada.
Da Bruxelles a Roma, passando per Berlino, il motto è ‘meglio investire sulle vetuste e inquinanti centrali a carbone che pagare il gas che alimenta le guerre di Vladimir Putin’. Peccato, però, che i soldi che non diamo alla Russia da un lato, glieli restituiamo dall’altro. Mi spiego meglio: nel 2020, l’Unione europea ha bruciato circa 145 milioni di tonnellate di carbone, coprendo il 16% del suo mix energetico. Di questi, ben 44,2 milioni di tonnellate provenivano dalla Russia, quasi un terzo del fabbisogno complessivo e circa la metà di tutto il carbone importato. In Italia, il peso del carbone russo è ancora più alto della media Ue: nel 2020 il 55,8% del carbone utilizzato dalle nostre centrali proveniva dalla Russia, seguito dal 20,6% degli Usa.
La decisione di riattivare le centrali chiuse o pronte alla chiusura, secondo uno studio della società di consulenza Aurora, potrebbe far risparmiare più di 7 miliardi di metri cubi/anno di gas. Il problema è che questo significherebbe “quasi raddoppiare l’attuale livello delle importazioni russe” di carbone. Fare affidamento ad altre fonti di approvvigionamento, spiegano gli esperti di Aurora, è pressoché impossibile nell’immediato.
Siamo a un paradosso, che è figlio delle scelte di politica energetica sbagliate fatte dall’Ue e dall’Italia almeno negli ultimi 20 anni. Proprio ieri la Commissione europea ha delineato un pacchetto di misure, REPowerEU, che mira a sostituire il gas che importiamo dalla Russia con altre fonti. Nella proposta di Bruxelles ci sono degli aspetti positivi, come “un’introduzione accelerata di pompe di calore solari e eoliche” per favorire i risparmi energetici negli edifici, e l’installazione nei tetti di pannelli solari fotovoltaici fino a 15 TWh entro il 2022. C’è poi l’invito agli Stati membri di tassare i profitti realizzati dalle lobby del fossile da quando è scoppiata la crisi energetica: l’Iea, l’agenzia internazionale dell’energia, stima che questi profitti “windfall”, ossia superiori a quelli realizzati in condizione normali, raggiungeranno i 200 miliardi di euro solo nell’Ue. Si tratta di una proposta in linea con quanto chiediamo da mesi noi del gruppo Greens al Parlamento europeo.
Detto questo, le misure delineate dalla Commissione non convincono del tutto. Non convince il fatto che si sostituisca il gas con altro gas, sia esso quello naturale prodotto dal regime dell’Azerbaigian (e portato in Europa via TAP), sia esso quello liquefatto, il Gnl, che acquistiamo da Usa, Qatar e via dicendo.
La guerra in Ucraina ha dimostrato non la dipendenza energetica dai fossili e da Paesi terzi è un rischio che piangono famiglie e imprese quando le cose vanno male. Vale per la Russia, ma vale in generale per la dipendenza dal fossile. Affidarsi alla ricetta “più gas non russo e più carbone” attraverso la diversificazione crea solo nuove dipendenze, sottrae fondi agli investimenti nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica e ci vincola per decenni alle infrastrutture fossili.
La nuova strategia Ue non può essere basata sul Gnl perché si verrebbero a creare ulteriori dipendenze, o sul biogas perché la quantità di biogas prodotto in maniera sostenibile è molto limitata. L’obiettivo è quello di accelerare la transizione verso un’economia basata al 100% su fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica: è questa l’unica strategia in grado di abbassare le bollette, di rispettare davvero l’ambiente e di renderci autonomi da regimi e oligarchie.
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