Ambiente, Europa, Puglia, Taranto
Il regalo dell’Europa all’ex ILVA (e in generale a chi inquina)
A Bruxelles, i governi e il Parlamento europeo hanno raggiunto un doppio accordo sulla riforma dell’Ets e sul nuovo Fondo sociale. Il succo è che le attività inquinanti, come le acciaierie o le centrali a gas o petrolio, dovranno pagare di più per le loro emissioni di Co2. E questa sorta di “carbon tax” riguarderà anche i riscaldamenti fossili e le auto alimentate a benzina, diesel e gpl (ma solo dal 2029 per i privati). In compenso, i cittadini riceveranno delle compensazioni attraverso il nuovo Fondo sociale per il clima, che sarà dotato di un bilancio di 86,7 miliardi, di cui circa 9 andranno all’Italia. Bene, ma non benissimo.
Il problema maggiore di questo accordo, infatti, è che le grandi industrie fossili e le multinazionali come ArcelorMittal continueranno a ricevere permessi gratuiti di inquinare fino al 2034. Queste “quote” sono dei regali inaccettabili che di fatto, anziché ridurre le emissioni, spingono i big del fossile a non investire nella transizione. Non solo: come ho denunciato alla Commissione europea qualche anno fa, grazie ai permessi gratis, le grandi industrie riescono a crearsi un business parallelo niente male: tra il 2008 e il 2015, per esempio, ArcelorMittal ha incassato 1,2 miliardi di euro rivendendo le quote gratuite non usate (non perché le sue acciaierie europee sono diventate più virtuose, ma perché ha chiuso alcuni siti nell’Ue per spostare la produzione fuori dall’Ue). Se non è una truffa questa…
E così, l’ex Ilva continuerà a ricevere questi permessi gratuiti di inquinare, la fetta più alta in Italia. E con l’acciaieria di Taranto, li riceveranno anche le centrali a gas, le raffinerie, ossia, in ultima istanza, quelle stesse società energetiche che quest’anno hanno accumulato profitti extra grazie al caro bollette. L’ingiustizia sociale è palese: i rincari delle bollette sono costati 1.000 miliardi di euro nel 2022 in tutta Europa, secondo Bloomberg. Il Fondo sociale Ue per le famiglie e contro la povertà energetica avrà un’ottantina di miliardi da spalmare su 8 anni. Eppure un modo per aumentare la dotazione c’è: togliere le quote gratuite e destinare i proventi a chi ne ha più bisogno. L’Ue, purtroppo, ha scelto un’altra strada.
La riforma dell’ETS
Cosa prevede la riforma dell’Ets
Stati membri e Parlamento europeo hanno raggiunto domenica 18 dicembre 2022 un doppio accordo per riformare il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (l’ETS – Emission Trading System) e per creare un Fondo sociale per il clima. Si tratta dei due dossier più importanti del pacchetto sul clima “Fit for 55”, il piano presentato a luglio 2021 per abbattere le emissioni di Co2 del 55 per cento entro il 2030. Purtroppo, a causa delle pressioni delle lobby dell’industria fossile, l’intesa trovata a Bruxelles non soddisfa le ambizioni che la stessa Ue si è posta con gli Accordi di Parigi. Ma andiamo per gradi.
Cos’è l’Ets
Partiamo dall’Ets, il sistema già in vigore dal 2005 nell’Ue e che è nato per spingere l’industria pesante (acciaierie, cementifici e aerei commerciali, per esempio) e le centrali energetiche fossili a ridurre le loro emissioni di Co2. In base a questo sistema, le imprese di tali settori devono acquistare delle quote di emissione di carbonio su un apposito mercato per coprire una parte del loro inquinamento: meno inquinano, meno costi devono sostenere per acquistare le quote. Il sistema è stato però accusato di non funzionare adeguatamente rispetto allo scopo, ossia ridurre le emissioni di Co2, e questo soprattutto per la presenza di una cospicua fetta di quote che vengono concesse gratuitamente dagli Stati alle proprie industrie. Si tratta, in altre parole, di permessi gratuiti di inquinare, i quali, anche secondo una recente relazione della Corte dei conti europea, andrebbero eliminati se si vuole davvero spingere tali settori verso una reale transizione ecologica.
La questione delle quote gratuite è stata l’elemento di discussione più spinoso, con le lobby dei settori interessati che hanno fatto pressioni enormi sui legislatori Ue per rinviare il più possibile la fine dei permessi gratis. A sostegno delle loro posizioni, le lobby di acciaierie, cementifici e simili hanno sottolineato come lo stop alle quote gratuite avrebbe aumentato i costi di produzione all’interno dell’Ue, favorendo l’import dei prodotti concorrenti dall’estero e costringendo diverse fabbriche a chiudere i battenti e a licenziare i loro operai. La quadra trovata per rispondere a tali istanze ruota intorno al Cbam, un sistema simile all’Ets che verrà applicato ai prodotti provenienti dall’estero. Anche il Cbam, che potrebbe scattare nel 2023, prevede delle quote gratuite. L’accordo trovato a Bruxelles prevede che sia per l’industria Ue, sia per quella extra-Ue tali permessi verranno eliminati progressivamente: per l’Est europeo, quasi la metà (48,5 per cento) delle quote gratuite sarà annullata entro il 2030, mentre saranno completamente eliminate entro il 2034. Ci vorranno dunque 12 anni per dire addio ai permessi gratis, un orizzonte temporale enorme.
Gli altri settori
Stati e Parlamento hanno concordato che il mercato del carbonio si estenderà gradualmente al settore marittimo, mentre per le emissioni dei voli aerei intraeuropei verranno eliminate le quote gratuite già nel 2026. Sull’estensione ai termovalorizzatori, invece, è stata fissata una data indicativa di partenza (il 2028), ma l’ingresso dei siti di incenerimento dei rifiuti nell’Ets potrebbe essere spostato sulla base di una valutazione d’impatto che redigerà la Commissione europea a ridosso della data concordata.
C’è poi il cosiddetto Ets II, ossia il sistema parallelo che la riforma creerà per edifici e trasporti su strada. Il sistema prevede il pagamento di quote di emissione per le aziende che distribuiscono carburante per i riscaldamenti delle case e per auto e mezzi pesanti. In questo modo, riscaldare gli edifici e gli appartamenti che per esempio usano caldaie a gas, o fare il pieno alla pompa potrebbe costare molto di più. Un pericolo che, con la crisi energetica in corso, è diventato ancora più critico per l’opinione pubblica. La Commissione Ue aveva proposto che l’Ets II scattasse nel 2026. Alla fine, l’accordo trovato prevede l’avvio del nuovo sistema nel 2027, con un prezzo limitato a 45 euro fino al 2030 (contro i 100 dell’Est classico). Inoltre, in seguito a drammatici negoziati al Parlamento europeo, si è deciso di partire inizialmente con edifici e trasporti commerciali, per poi allargare il campo anche a quelli privati (nel 2029). Altra condizione: i negoziatori si sono accordati su una clausola per cui se i prezzi dell’energia (petrolio e gas) sono superiori a 99 euro, il nuovo Ets non sarà introdotto nel 2027, ma solo un anno dopo.
Prima o poi, però, gli aumenti per le famiglie ci saranno. Cosa fare per ammortizzare i costi sociali di questa riforma? La soluzione trovata dall’Ue è il Fondo sociale per il clima (‘Climate Social Fund), con cui nel periodo 2026-2032 circa 86,7 miliardi di euro saranno assegnati all’azione sociale per il clima che va dalla ristrutturazione degli alloggi sociali al sostegno diretto al reddito. Di questi, circa 9 miliardi dovrebbero andare all’Italia, che sarebbe il terzo beneficiario del fondo. Per ricevere i finanziamenti, gli Stati membri dovranno presentare a Bruxelles dei “Piani per il clima sociale”, previa consultazione con le autorità locali e regionali, le parti economiche e sociali e la società civile.
All’inizio, il Fondo sarà finanziato attraverso i proventi ottenuti dalla vendita all’asta di 50 milioni di quote Ets (stimate in circa 4 miliardi di euro). Una volta entrata in vigore l’estensione dell’Ets a edifici e trasporti (Ets II), il Fondo sarà finanziato dalla vendita all’asta delle quote dell’Ets II fino a un importo di 65 miliardi di euro, con un ulteriore 25% coperto da risorse nazionali (per un totale stimato di 86,7 miliardi di euro).
Il Fondo finanzierà misure temporanee di sostegno diretto al reddito per far fronte all’aumento dei prezzi dei carburanti per autotrazione e riscaldamento – con un limite massimo del 37,5% del costo totale stimato di ciascun piano nazionale. Riguarderà anche investimenti strutturali di lunga durata, tra cui la ristrutturazione degli edifici, le soluzioni di decarbonizzazione e l’integrazione delle energie rinnovabili, gli acquisti e le infrastrutture per veicoli a zero e basse emissioni, nonché l’uso del trasporto pubblico e dei servizi di mobilità condivisa.
L’accordo prevede inoltre due fondi per aiutare l’industria nella transizione: il Fondo per l’innovazione passerà dagli attuali 450 a 575 milioni di quote, mentre il Fondo per la modernizzazione sarà aumentato mettendo all’asta un ulteriore 2,5 per cento di quote che sosterranno i Paesi dell’Ue con un Pil pro capite inferiore al 75 per cento della media dell’Ue. Gli Stati saranno ora obbligati a spendere tutte le entrate nazionali derivanti dalla vendita all’asta delle quote Ets per attività legate al clima. Finora, la gran parte di queste risorse, soprattutto in Italia, sono andate a finanziare la stessa industria fossile.
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